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La War Room italiana per la Libertà

  • Immagine del redattoreLiberoom

La cruciale differenza tra Liberty e Freedom (che in Italia non conosciamo)

Aggiornamento: 4 gen 2022

Giorni cupi questi, di pandemia e dittatura sanitaria. Giorni di brogli elettorali nella terra della Libertà e della Democrazia; giorni di censura spinta ormai oltre i confini della umana decenza. Giorni tossici a cui dobbiamo resistere riflettendo sul concetto di Libertà.

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Salvo rare eccezioni, qui non si alza alcuna voce neppure di dissenso civile o domestico. Tutti muti difronte alla presa d’atto che in Italia pare ormai essersi schiantata l’idea stessa di Libertà insieme a tutti i diritti costituzionali, alla libertà economica e di spostamento, ed alla libertà di manifestare il proprio pensiero senza ricevere la bollinatura fascista.

Diciamolo chiaramente, allora: la Libertà in Italia si è liquefatta come idea, come sogno, come metro di misura per valutare la politica e le sue scelte, come strumento per governare discussioni pubbliche e private, e finanche come aspirazione notturna prima di addormentarci. Tutto questo perché?


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La risposta è enorme: la Libertà, nel nostro Paese, non ha mai goduto di fama né di attenzione. Abbiamo alle spalle una striscia buia, lunga almeno mezzo secolo, in cui l’Italia è passata ripetutamente dalla padella alla brace senza mai scorgere l’alba della Libertà all’orizzonte.

Dal Socialismo Reale della Prima Repubblica e del pentapartito alla finta “rivoluzione liberale" del Cav. Berlusconi, che - osteggiato dalla magistratura militante che aveva devastato il sistema partitico risparmiando la sinistra - ha modellato la Seconda Repubblica sulla sola premura personale di farsi accettare nel ristretto club politico “che conta", normalizzandosi ed archiviando anzitempo il suo essere un irregolare ed un outsider del sistema. Da quell’ignobile aliud pro alio liberale al lungo tunnel dell’antiberlusconismo. Per poi atterrare, senza neppure accorgercene nella orrenda Terza Repubblica guidata dal PD; che, con l’ennesimo diversivo ideologico – quello di matrice utopico-europeista – ha agganciato il Paese e l’opinione pubblica dominante ad un internazionalismo sempre meno liberale e sempre più globalista.

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Così, ora - nel bel mezzo del rischio mortale, quello sì, di collasso economico – nessuno ha la forza reale di reagire perché ci ritroviamo spogliati anche della nozione stessa di Libertà. E’ panico totale travestito di mansuetudine. Stiamo girando la testa dall’altra parte, come hanno fatto i tedeschi con l’avvento del nazismo, lasciando spadroneggiare una regia di governo, il nostro, che si regge sull’alleanza dei 5 Stelle, nati dalla mente di un guru di Internet che, mentre ci lanciava addosso, per interposta persona, truppe cammellate di “onesti”, importava il mito globalista dell’uovo nuovo, tecnologico e iper-connesso, il neo-proletario 2.0; quell’ibrido digitale che peggio di un film horror sarebbe ovunque e conoscerebbe tutto, come e più di Dio stesso.

Come è possibile non vedere che questa specie di comunismo 2.0 è in realtà feudalesimo 4.0 retto su quell’internazionalismo socialista, che tutto è fuorchè “democratico”? Come fare ad attribuire credito e potere di decidere dei nostri destini ad organizzazioni che non si reggono sul voto democratico? Come non vedere ancora ed ancora il pericolo di scivolare nel baratro di una tirannia globale e globalista così evidente e manifesta ormai?

Le parole contano


Forse tutto nasce dall'assenza nella nostra lingua di parole, che l'inglese invece ha, per descrivere la differenza non sottile che c'è tra Freedom e Liberty.


Ma le parole contano. Contano sempre sia per arrivare dove dobbiamo andare, sia per sapere per cosa stiamo combattendo, sia per capire quali sono i nostri nemici e perché. E dobbiamo capirne il senso.


Già la stessa cultura anglo-americana che ha due parole distinte fa fatica a ricordare la differenza e tende a pensare che i due termini di Freedom e Liberty siano intercambiabili. Figuriamoci noi, che non abbiamo due parole e ci mancano le basi anche per capire il senso dell’unica parola in nostro possesso per definire la Libertà.


Il Presidente Donald J. Trump, nei suoi discorsi pubblici, usa da anni continuamente questi due termini, accomunati ma sempre distinti. Ed ogni volta che si riferisce alle liberties - lui come tanti altri - aggiunge sempre l’espressione God-given. A richiamare il messaggio dei Padri Fondatori, secondo cui la Libertà era un diritto concesso da Dio ma lasciato in gestione al governo attraverso l'attribuzione ai cittadini del diritto di sfruttare al meglio quelle libertà.


Ed è bene ricordarselo, sottolinenando pure la diversa derivazione dei due termini di Freedom e di Liberty e la sommatoria concettuale, confusa, alla base della nostra unica parola per dire Libertà.


La Libertà intesa come Freedom è una parola di origine tedesca che significa semplicemente la capacità di auto-determinarsi e prendere decisioni o eseguire azioni senza controllo esterno. Mentre, la Libertà intesa come Liberty, con le sue radici francesi come la nota statua divenuto simbolo degli USA, significa libertà che è stata concessa da qualcuno, da un elemento esterno, tipicamente la nostra società o governo, o meglio, da Dio secondo i Padri Fondatori della repubblica americana.


Seguendo questa distinzione si comprende dunque più facilmente che la Libertà intesa come Fredoom è la spinta umana con cui siamo nati, mentre la Liberty - francese come la statua simbolo degli USA, appunto - è qualcosa che dobbiamo strappare a qualcun o a qualcosa per prendercela, per cui dobbiamo quindi lottare affinchè sia concessa da una forza esterna.


Ecco perché è fondamentale conoscere le sfumature anche lievi, ma potenti di ogni parola, soprattutto visto i tempi in cui viviamo.


Rosie la rivettatrice, personificazione delle donne che, durante la seconda guerra mondiale, lavoravano nell’industria bellica. E’ in pausa pranzo, è muscolosa, calpesta una copia del Mein Kampf di Hitler, e guarda con serena strafottenza di fronte a sé
Rosie the Riveter - Illustrazione di Norman Rockwell pubblicata sul The Saturday Evening Post, il 29 Maggio 1943

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